mercoledì 28 settembre 2016

Un ottavo capitolo forse evitabile

È stato ed è il libro più atteso dell’anno; almeno per una intera generazione di lettori che con le avventure del maghetto più famoso di tutti i tempi sono cresciuti. Supposizioni, illazioni, plausi, dubbi, purismi hanno fatto da contorno all’uscita del libro accentuando un’attesa sempre crescente che è stata spezzata, al pari di una maledizione di Voldemort, la notte tra il 23 ed il 24 agosto. A testimonianza di ciò bastino le code di fronte alle librerie allo scoccare della mezzanotte; un rito che negli ultimi tempi vedeva al posto delle librerie i negozi di elettronica ed al posto dei libri gli iPhone; stavolta cartaceo batte digitale.

Venendo al libro (contiene SPOILER) è doverosa una premessa: nell’esprimere un giudizio non si possono adottare i canoni che si usano per un romanzo in quanto il testo è di fatto una sceneggiatura teatrale che per fisionomia non può possedere nè l’ariosità di un romanzo in prosa né tanto meno la verve scrittoria a cui J.K. Rowling ci aveva abituato. Anche perché è lecito sospettare che solo l’idea di base provenga dalla scrittrice e che la stesura sia opera di John Tiffany e Jack Thorne, i due sceneggiatori dell’omonimo spettacolo. Detto questo il libro è lungi dall’essere un prodotto che molti hanno definito, per usare un eufemismo, cestinabile; forse una trovata commerciale che fa leva sulla nostalgia del mondo potteriano ma l’opera in sé non è quell’orrido prodotto che molti hanno descritto. Innegabilmente ha dei difetti, forse troppi, ma possiede anche dei pregi.


Harry Potter e la maledizione dell’erede comincia dove Rowling ci aveva lasciato con I doni della Morte. Stazione di King’s Cross, binario 9 e ¾, espresso per Hogwarts: un tuffo nel passato, un’istantanea immersione nei ricordi di libri e film sul maghetto dalla cicatrice a saetta. Harry, sposato con Ginny, Ron ed Hermione salutano i propri figli che partono per la scuola magica, presieduta da Minerva McGonagall. Sul treno nasce l’amicizia, eterno refrain caro a Rowling, sul cui binario scorrerà l’intera storia tra due personaggi che pregiudizio vorrebbe essere inconciliabili: Albus Severus Potter e Scorpius Malfoy, rispettivi figli dei duellanti dell’intera saga. La loro unione sembra sancire la pace fatta tra Harry Potter e Draco Malfoy che, seppur tra qualche difficoltà, emergerà chiara all’interno del racconto. A far scattare la molla dell’avventura è il rapporto controverso che i due giovani hanno coi rispettivi padri, Albus in particolare. Per riscattare la colpa del padre per la morte di Cedric Diggory durante il Torneo Tremaghi Albus convince Scorpius a seguirlo in un viaggio nel tempo tramite una GiraTempo per evitare in ogni modo la morte del ragazzo. In questo compito saranno affiancati da Delphi, una ragazza che millanta di essere cugina di Cedric, e che si rivelerà infine essere il villain della storia; ella è infatti la figlia di Voldemort e Bellatrix Lestrange il cui scopo è far ritornare il Signore Oscuro sfruttando i garbugli temporali causati dai poco avveduti protagonisti. Infatti come ben sanno gli appassionati di fantasy e fantascienza un minimo intervento su un dettaglio del passato può causare imprevedibili conseguenze, generalmente deprecabili, nel futuro. Chiedere a Marty Mcfly per ulteriori dettagli. Ma veniamo a quelle che sono le criticità da un lato e i punti a favore dall’altro dell’ultimo capitolo della saga potteriana.

PREGI

- Gli autori non mancano di deliziare i lettori, sia per spirito di coerenza e di continuità sia per compiacenza, con citazioni e riferimenti che rimandano alla saga originale e che stuzzicano l’emotività del lettore anche più critico. Ecco allora i cari Tiri Vispi Weasley, il carrello carico di dolci sull’espresso per Hogwarts, le magiche GiraTempo, il Salice Schiaffeggiante (Platano Picchiatore per gli affezionati alla prima edizione italiana), l’immancabile Pozione Polisucco, l’eroismo di Neville e Godric’s Hollow; a ciò si aggiunga la Foresta Proibita, il centauro Bruce (ex Fiorenzo), Dolores Umbridge il cui solo nome risulta oltremodo urticante e naturalmente Voldemort, eterno spauracchio della saga. Si respira l’atmosfera che ci aveva accompagnato nei precedenti volumi, sebbene sia notevolmente mitigata.
- La trama della storia è buona e la decisione di puntare sul viaggio nel tempo e sui suoi paradossi è apprezzabile, poiché la tematica da sempre affascina cinema e letteratura. Basti pensare al già citato Ritorno al futuro, all’Interstellar di Christopher Nolan, a 22/11/’63 recente libro di Stephen King, ora serie tv oppure alla trilogia fantasy di Kerstin Gier (Red, Blue, Green) ; è in definitiva un investimento a basso rischio che spesso paga bene.

DIFETTI

- Lasciano perplessi, in ottica strettamente teatrale, i numerosi cambi di scena, le numerose scenografie necessarie (Foresta Proibita, Uffici del Ministero, Godric’s Hollow, casa Potter…) e i tanti effetti speciali necessari. La soluzione logistica per questi impicci non deve essere stata facile.
- Per i puristi del genere fa storcere il naso l’uso-abuso della Pozione Polisucco nel senso che Albus, Scorpius e Delphi se la procurano in quattro e quattr’otto. Svista grossolana se si tiene conto del fatto che il procedimento di preparazione richiede almeno un mese e che sono necessari ingredienti difficilmente reperibili lungo la strada; tanto che Hermione fu costretta nel secondo volume a sottrarli alla ben fornita dispensa privata di Piton. Incredibilmente facile poi è il modo con cui i tre penetrano nel Ministero della Magia, i cui massimi esponenti sono Hermione ed Harry, che, proprio in virtù delle esperienze passate dei due eroi, avrebbe dovuto dotarsi di misure di sicurezza molto avanzate. Invece no.

- Altra nota dolente, sottolineata da più parti, è la caratterizzazione dei personaggi. Se Draco mantiene le aspettative di ragazzo redento come l’ultimo romanzo lasciava presagire e se Harry parzialmente si salva e mostra un rapporto difficoltoso e tormentato con il figlio minore derivante dal non aver avuto a sua volta una figura di riferimento, Hermione e Ron appaiono sinceramente fuori registro. Hermione, Ministro della Magia in carica, non mostra alcuna arguzia o lampo di intelligenza; appare fredda, robotica, senza verve. Un personaggio trascurabile nel suo complesso. Ma il peggio viene riservato al povero Ronald Weasley, fratello di Fred e George, nuovo gestore dei Tiri Vispi Weasley che, forse in virtù di questo suo nuovo impiego, si trasforma nel vero pagliaccio della storia intervenendo con frasi sconclusionate che dovrebbero suscitare ilarità mentre invece affossano il suo personaggio. Un babbeo fatto e finito.

Nel complesso si tratta di un lavoro mediocre, a tratti avvincente ma che non giustifica il prezzo; a teatro forse ma non in libreria. Chissà che invece, sulla scia del potenziale successo di Harry Potter in teatro, giovani e meno giovani si avvicinino ad un arte purtroppo spesso relegata in seconda fila ma che conta tra i suoi demiurghi Shakespeare, Brecht, Pirandello. Qualcosa in più del duo Tiffany-Thorne.

Harry Potter e la maledizione dell'erede
J.K. Rowling, John Tiffany, Jack Thorne
Salani, pp. 368, 2016
19,80

mercoledì 21 settembre 2016

Dracula: tra femminino e divino

Dracula di Bram Stoker appartiene al mare magnum di quei classici senza tempo mescolandosi in una linea del tempo ininterrotta con Frankenstein, Orgoglio e pregiudizio, Lo strano caso del dottor Jekyll e Mr. Hyde. Non a caso ho citato questi tre capisaldi della letteratura inglese con cui Dracula ha diverse cose da spartire. Con il romanzo breve di Stevenson condivide il tema della doppia personalità che in Dracula assume tonalità demoniache e spettrali; con il bestseller di Austen lo stile e con il libro di Mary Shelley il filone narrativo, cioè quel romanzo gotico che ancora oggi, pur con le dovute differenze, riscuote notevole successo e che fonda il suo topos narrativo su personaggi orridi o che suscitano spavento e terrore, luoghi spettrali e isolati spesso ombrosi e lugubri (come appunto il castello del conte Dracula) e una trama volta a mantenere viva l’attenzione del lettore.

Dracula, apparso nel 1897 nel pieno del secolo dei Lumi, rappresenta un paradosso letterario. Il libro infatti è in qualche modo l’archetipo del genere horror e gotico, da cui tante altre produzioni hanno attinto, ma in realtà è il volume che chiude il ciclo gotico stesso, il quale aveva vissuto le sue maggiori fortune nei decenni precedenti con diverse pubblicazioni sul tema: Il monaco di Matthew Lewis (1796), Frankenstein di Mary Shelley (1818), Il vampiro di John William Polidori, (1819). Solo per citarne alcuni. Ma per quale motivo, nonostante una letteratura ampia sulla figura del vampiro come demone sputato dall’inferno, proprio il Dracula di Bram Stoker è sopravvissuto fino ad oggi? Perché il suo testo e non le avanguardie narrative di Polidori? La risposta giace in una somma di elementi di diverso tipo che incrociano non solo l’abilità di Stoker, l’apprezzamento dei lettori e le atmosfere create ma anche il mondo del cinema che nell’anno della prima edizione del romanzo muoveva i suoi primi passi.
Stoker stende un romanzo di ampio respiro che si apre con un incipit da manuale in cui da una situazione di leggera inquietudine che sin da subito emerge dal diario del protagonista Jonathan Harker si assiste ad una escalation di terrore e orrore che culmina nella visita di Harker stesso, nella disperata ricerca di una via di fuga dal maniero-prigione del conte, alla cappella mefitica in cui Dracula, in una bara, riposa. Da qui la scena si sposta nella località costiera di Whitby dove si respira un’aria di pace e serenità che ben presto viene turbata dall’arrivo di una misteriosa nave senza equipaggio e dalla comparsa del conte Dracula in terra inglese. È da qui che il malvagio demone inizia la sua opera di coercizione della giovane Lucy Westenra, prima pedina del suo piano che consiste nell’ingrossare le fila dell’esercito di Non-morti al suo comando. Fa così la sua comparsa il tema principe della letteratura di tutti i tempi, ovvero lo scontro tra le forze del Bene e le forze del Male. Da un lato troviamo Jonathan Harker, reduce dalla terribile esperienze in Transilvania, il dottor Seward, psichiatra in uno studio medico, Lord Arthur Godalming, un nobile londinese, il signor Quincey Morris, un giovanotto americano e Abraham Van Helsing, dottore, scienziato dell’occulto, psichiatra e avvocato che rappresenta la vera nemesi del conte Dracula, esponente supremo delle forze del Male.


Gary Oldman interpreta il vampiro in Dracula di Bram Stoker.
Il personaggio più riuscito è sicuramente il conte Dracula, vero centro di gravità dell’intera narrazione e tutt’oggi archetipo del Mostro accanto a Frankenstein, streghe e fantasmi. La figura di Dracula suscita nel lettore una morbosa attrattiva che viene abilmente stuzzicata dalla penna di Stoker che non perde occasione, ogniqualvolta il vampiro entra in scena, di descriverlo nei minimi particolari fornendo un ritratto di spaventosa realtà. La fronte alta e pallida, le labbra rosse, il naso aquilino e i denti aguzzi che nei momenti di tensione scattano come mortali ganasce ne fanno un ritratto impossibile da dimenticare. Insomma, repetita iuvant. A fare da contraltare ci pensa il dottor Van Helsing, vero antagonista del conte; è infatti il medico olandese il depositario delle conoscenze necessarie per sconfiggere il vampiro ed è sempre lui che si impone alla guida della compagine anti-vampiro, procurandosi gli strumenti atti allo scopo (crocifissi, ostie consacrate e fiori d’aglio), stilando i diversi piani d’azione, intervenendo con le corrette cure mediche in caso di bisogno e dimostrando una profondissima umanità che si rivela ai suoi compagni ed al lettore sotto forma di crisi isteriche e di pianto. Non è infatti un caso che Abraham Van Helsing, che con Stoker condivide il nome di battesimo (studiata coincidenza), abbia suscitato ben più interesse dei comprimari che lo accompagnano nella caccia e perciò sia stato oggetto nel tempo di diverse trasposizioni cinematografiche che, in alcuni casi, ne hanno snaturato il personaggio a beneficio dello spettacolo. Ultimo in ordine di tempo Van Helsing (2004) di Stephen Sommers in cui l’occhialuto e pacato professore lascia il posto ad un possente uomo bardato di nero e dotato di armi fantascientifiche impersonato da Hugh Jackman.

Si sa, la grandezza ed il merito della letteratura stanno nella sua capacità di fungere da specchio del tempo e di far conoscere al lettore, direttamente o indirettamente, gli usi e costumi dell’epoca, l’intimità dello scrittore che può emergere da uno o da più personaggi, la cultura e la sottocultura che permea le vicende raccontate. Anche Dracula non può sottrarsi a questo schema e ci fornisce informazioni di carattere sociale e personale. Il primo dato che emerge distintamente all’interno della narrazione mediante le figure di Mina Harker, Lucy Westenra e anche delle tre Non-morte al servizio di Dracula è la condizione della donna, o meglio la percezione che la struttura sociale del tempo, ancora totalmente maschile, aveva del ruolo femminile. Non di rado affiora la figura di una donna che per natura e per indole è votata alla dedizione sperticata verso l’altro sesso oltre che ad una sottomissione completa. A dimostrazione di ciò diversi sono gli inviti di Mina a Lucy ad adottare questi atteggiamenti:

«Io voglio che tu veda ora, e attraverso gli occhi di una moglie molto felice, dove mi ha condotta il senso del dovere, in modo che anche tu, nella tua vita di sposa, possa essere felice come me» (p. 139).

«Assumerò un’aria impassibile, e se mi sento incline alle lacrime, non glielo darò mai a vedere. Questa, suppongo, è una delle lezioni che noi povere donne dobbiamo imparare…» (p. 336).

E diverse altre volte la corrispondenza delle due donne e i loro rispettivi diari presentano riferimenti al “senso del dovere”, alla necessaria “devozione” e alla “fiducia incondizionata” verso il marito. Ciò non significa che Bram Stoker fosse un maschilista o un misogino di primo livello ma, attraverso la sua prosa, scorgiamo la spia di quale fosse l’effettiva condizione che gravava sul sesso femminile sul finire del XIX secolo in Inghilterra quando iniziarono a formarsi i primi comitati e movimenti per l’introduzione del suffragio femminile. Ad aver pesato sui giudizi di Stoker verso l’altro sesso potrebbero essere state le sue origini irlandesi che spesso si accompagnano ad una notoria e storica fede cattolica, la quale dottrinariamente afferma, forte del contenuto delle Sacre Scritture, la superiorità dell’uomo sulla donna. E tutt’oggi l’impossibilità delle donne di accedere al sacerdozio e quindi all’esercizio effettivo dei riti religiosi testimonia questa tendenza misogina.
Risultati immagini per dracula croceLa fede nel Divino e il timor di Dio biblico traspaiono dalle pagine di Dracula: i personaggi sono propensi ad una forte colpevolizzazione che a lungo andare sfocia nell’esasperazione del lettore. Mina Harker, come il dottor Seward, si dolgono della morte di Lucy scaricando sulle proprie spalle il suo decesso e al contempo si rivolgono pietosamente a Dio affinchè possa garantire loro aiuto e sostegno; questi ultimi non arriveranno mai. A ciò si aggiunge il pietismo fuori luogo che, verso la fine del libro, Mina Harker mostra nei confronti del vampiro che con violenza orrenda, non dissimile da uno stupro, l’ha trasformata nella sua futura serva dimostrando così la sua infinita bontà che sembra voler testimoniare indirettamente la grandezza del perdono cattolico. Se dalla buona borghesia inglese possiamo attenderci dei comportamenti simili, poco giustificabile appare invece il professor Van Helsing che in alcuni momenti si lancia in invocazioni parossistiche del Divino implorando la venuta e l’aiuto di Dio e di Gesù Cristo. Sebbene il volume tratti di eventi soprannaturali, in cui anche credenze e superstizioni assumono la forma di rimedi scientifici, lasciano perplessi l’affidamento e l’invocazione da parte di uomini di scienza (Van Helsing appunto ma anche Jack Seward) ad entità divine intangibili.




Edizione di riferimento: Dracula, Bram Stoker, Milano, BUR, 2004