lunedì 27 febbraio 2017

Neve, cane, piede o l'allucinazione solitaria

La copertina del libro edito da Exòrma.
Neve, cane, piede è più di un romanzo o di un racconto, semplicemente per il valore rivoluzionario intrinseco che porta con sé. Il libro di Claudio Morandini è infatti il punto di arrivo di un progetto orientato alla ricerca della qualità letterariacelata nell'ambito della piccola editoria; un'iniziativa che è nata interamente sul web per poi diventare fatto concreto nelle librerie fisiche di tutta Italia. Mi riferisco a Modus Legendi, piccola rivoluzione promossa dal gruppo Facebook Billy, il vizio di leggere e supportato dal sito web Ultima Pagina, che ha visto coinvolte migliaia di persone che hanno spinto in classifica il libro edito da Exòrma. Si tratta quindi della realizzazione di un programma culturalmente ambizioso che, per la sua aura innovativa e fuori dagli schemi tradizionali, merita attenzione. Detto ciò, dopo la lettura del libro, si comprendono meglio i motivi che hanno convinto i "savi" ad inserire questo racconto nella cinquina dei libri finalisti. 

Lo definisco racconto non tanto perché è un libro relativamente breve ma perché assomiglia più ad una favola che ad un romanzo mettendo in scena animali e cadaveri parlanti inserendoli in un contesto ambientale che, pur rispondendo a luoghi realistici, appare più che mai fantastico. Neve, cane, piede pur nella sua forma breve, ma anzi forse proprio per questo, è tante cose insieme ma se c'è una componente che subito si delinea chiara è l'ironia, incarnata dal vecchio e sporco cane. Ciò risulta chiaro al lettore sin dall'occhietto che reca nero su bianco il nome della collana: quisiscrivemale. Un manifesto programmatico che in realtà, in un gioco autoironico di specchi, allude proprio al contrario, ovvero alla ricerca della qualità letteraria che si concretizza, nel caso in questione, nella scrittura secca, asciutta, priva di orpelli che l'autore sa mettere su carta; uno stile che riecheggia le ambientazioni montanare in cui il protagonista si muove e che non può che essere aspro ma soprattutto essenziale. L'eroe indiscusso della storia è un uomo la cui natura più intima si evince dal fatto che  

'non vorrebbe essere scoperto da qualcuno che passa da quelle parti, pronto ad andargli incontro e a stringergli la mano e a non lasciargliela e a chiedergli cose che lui non sa, non ricorda o non vuole sapere o non vuole dire'. 

Claudio Morandini
Adelmo Farandola é  il suo nome; un vecchio montanaro che vive come un misantropo in una baita incastonata in una conca di montagna, che con le sue asperità, i suoi odori, rumori e cicli stagionali é da lungo tempo la sua unica compagna. Adelmo, il cui passato emerge a sprazzi dal racconto come una nebbia lattiginosa di passato remoto, si reca in città solo ed esclusivamente al fine di fare provviste per l'inverno. Comprare i genere di prima necessità che gli permetteranno di sopravvivere per tutta la stagione fredda durante la quale si chiude in casa senza uscirne per mesi e mesi; una condizione di prigionia autoinflitta che implica il germe della follia e dell'allucinazione. L'estraneità forzata dal mondo esterno, la vocazione solitaria, l'assenza di qualsiasi contatto umano o anche animale sono tutti elementi che, al pari di un febbrone autunnale, conducono sulla strada dell'essere matti. Sulla via del ritorno a seguito delle compere in paese, lungo la salita che lo porta all'alpeggio dove dimora, si imbatte nel cane che  titolo al romanzo. Quest'ultimo pare essere l'unico essere vivente in grado di penetrare la corazza di sporcizia e solitudine che l'uomo ha deciso di costruirsi attorno tanto da stupirsi di se stesso nel momento in cui, nel suo freddo cuore, sente accendersi una tiepida fiammella di tenerezza e affetto verso il vecchio sacco di pulci del quale volente o nolente si è sobbarcato il peso. Il tempo passa e il crudo inverno si abbatte sulla vita del burbero e smemorato Adelmo Farandola, sul cane che nel frattempo si è sistemato, tra i mugugni del vecchio, nella baita e sulla baita stessa. La violenza della montagna, la sua natura di indomabile forza elementare, si abbatte sulle due misere esistenze sotto forma di una valanga che avvolge la casa sommergendola di neve, carcasse di animali e ghiaccio recludendo la strana coppia per cinque mesi. 

È indubbio che la parte centrale del romanzo, ovvero il racconto della convivenza forzata dove il giorno e la notte non esistono e si sovrappongo in modo surreale e in cui i morsi della fame a lungo andare diventano belve oniriche, sia il pezzo migliore del racconto. Il luogo narrativo in cui Morandini mette a nudo Adelmo Farandola lasciando emergere la sua vena dissennata. È in questo momento dilatato nel tempo e nello spazio che il tema dell'allucinazione, cifra distintiva del personaggio assieme alla solitudine monastica, irrompe sulla pagine creando sia disagio che pena nel lettore il quale tocca con mano l'alienazione del montanaro. Quest'ultimo viene colto da allucinazioni fantasmagoriche in cui, come fosse al proprio capezzale, vede passare cortei di persone che, un tempo, appartenevano alla cerchia della sua famiglia o delle sue amicizie; si lascia andare a soliloqui riflessivi che il cane non riesce a interpretare o a ricondurre ad un discorso minimamente logico; si affanna nella stalla a cercare mucche che non esistono da tempo e soldi che invece sono fin troppo concreti.  

'Adelmo Farandola non sa se il ricordo di quel fatto lo ha ritrovato davvero nella grande confusione della sua testa, o se se l'è modellato lui sulla base dei rimuginii di questi giorni, o se ha confuso uno dei tanti sogni con il ricordo di un fatto reale, o se sta sognando anche adesso'.

Il logo dell'iniziativa Modus legendi.
Morandini crea un clima quasi soffocante dove la luce è l'eterna esclusa e l'avvento del tepore primaverile in grado di sciogliere i ghiacci rappresenta una boccata di aria fresca e un respiro di sollievo per il lettore, chiuso assieme al cane e ad Adelmo Farandola nella claustrofobica baita. La parte conclusiva del romanzo ruota attorno al ritrovamento di un piede che emerge come una spada o un tronco d'albero dalla neve fresca e che non sarà immune dalla personalità psicotica e alienata del vecchio Adelmo. In conclusione Neve, cane, piede è un libro sì sulla solitudine che rischia di essere la via più facile per la follia e la smemoratezza ma in sottofondo si legge anche l'amore per quella madre contraddittoria, fatta al contempo di carezze calorose e gelidi schiaffi, di cieli azzurri e dirupi nerissimi, che è la Montagna.

Neve, cane, piede 
Claudio Morandini 
Exòrma, pp. 138, 2015
13,00

martedì 21 febbraio 2017

Le vittime collaterali del terrorismo

La copertina del volume edito da Fandango.
Dopo un attentato l'attenzione mediatica di web, giornalitelegiornali e social media si focalizza sulla costruzione dell'identikit dell'attentatore.  Il lettorel'ascoltatore e il semplice internauta pretendono che la personale e morbosa curiosità sia soddisfatta: chi è? Da dove viene? A quale movimento appartiene? Quante persone sono morte? Quanti feriti? C'è tuttavia sempre una domanda che rimane inevasa e sommersa perché affossata dalla necessita di crocifiggere e condannare senza mezzi termini e l'atto e colui che l'ha compiuto. Questa domanda sottaciuta è: chi si è lasciato dietro quella persona? Esistono delle vittime collaterali che non rientrino nell'ovvio cerchio dei parenti delle vere vittime, dei morti lasciati per strada? Si, esistono e molto spesso trovarle, o anche solo interessarsi a loro, è difficile perché si impone il cordoglio dell'immediato che per sua natura è emotivo, viscerale e pertanto superficiale. Le prime vittime sono spesso i famigliari del terrorista e dell'assassino; madri, padri, nonni, fratelli, zii, cugini e sorelle che hanno assistito alla dissoluzione sistematica di un loro stretto parente le cui colpe diventano bagaglio di dolore ineludibile per la famiglia stessa. Onta vergognosa e incancellabile. È di questi fatti laterali che s interessa l'autore Nicola Ravera Rafele, romano, classe 1979, che per Fandango ha pubblicato questo libro, inserito da illibraio.it nella lista dei possibili candidati al prossimo premio Strega. Chi vivrà vedrà, suggerisce il motto, e conclusa la lettura ci si convince che la valutazione potrebbe non essere poi così campata per aria.

Il protagonista dell'intera storia, la vittima collaterale del terrorismo rosso degli anni '70 e '80, è un giovane collaboratore del Corriere della Sera che risponde al nome di Tommaso Musso. Quest'ultimo cognome pesante perché comunemente associato a quello del ben più celebre padre Michele Musso, personaggio intelligente, brillante, astuto, furbo, dotato della giusta dialettica per fare carriera e farsi apprezzare negli ambienti dell'estremismo rosso. Per Tommaso un'ombra del passato, di scarso se non nullo interesse che furbescamente diventa arma narrativa per affascinare amici, compagni di classe, conoscenti e naturalmente ragazze. L'irresistibile fascino del figlio del terrore. Salvo non sapere praticamente nulla né del padre né della madre, anch'essa sodale guerrigliera, se non che entrambi sono morti durante un attacco. Quanto basta perché la vita di Tommaso, cresciuto dalla coppia di zii borghesi, scorra nei binari di una quieta routine almeno finché, sfruttando appieno la medias res, l'autore non fa stramazzare Tommaso sulla terra battuta del parco dove è solito correre di prima mattina. Un problema cardiaco che lo costringe ad un breve ricovero in una vicina clinica dove, per volontà ironica del fato, incontra il dottor Radaelli che non può esimersi, leggendo il cognome, dal fare riferimento al suo fortuito incontro con i genitori di Tommaso. A Grenoble, nel 1984. Le date non tornano; se i suoi genitori sono morti nel 1983, come gli è sempre stato raccontato, come è possibile che un anno dopo si trovassero a GrenoblePer Tommaso le informazioni e il racconto da crime story del dottore rappresentano una doccia fredda, simboleggiano il momento del passaggio dall'immaturità dell'ignoranza alla maturità della consapevolezza; quest'ultima spesso infida perché è il sentiero più veloce verso la sofferenza. Dopo una vita passata ad evitare consciamente il confronto con il passato Tommaso sente la necessità impellente di sapere, apprendere e conoscere decidendo di percorrere una strada che si rivelerà più tortuosa e infida del previsto e che, a causa dello spaventevole passato della sua famiglia, mieterà vittime incrinando rapporti umani, familiari e amorosi. 

"Non trovo le parole per dirlo, ma quello che sento è: quei modi, quell'uomo, è qualcosa che ho dentro, che ho dentro e che ho rifiutato. Per istinto? O è stata Diana? Come ha reagito lei, mentre crescevo, a una qualunque manifestazione di affinità con l'istinto distruttivo di mio padre?"

Aldo Moro, leader della DC, fotografato durante il sequestro.
La storia di Tommaso é una storia di maturità che passa attraverso il confronto con il proprio passato, un passato che per quieto vivere, quindi per paura e timore dello schiaffo del reale, ha preferito seppellire dietro di se ma che, come i resti di un cadavere, é sopravvissuto nella memoria incancellabile di altri soggetti. Sono loro che, attraverso le loro esperienze, in un primo momento del romanzo accompagnano Tommaso, in veste di Virgilio del terrorismo e delle lotte armate, nel viaggio orientato alla ricostruzione della propria esistenza, del proprio Io più vero e profondo. L'autore non ha fatto altro che proporre un romanzo di formazione non cadendo nell'errore che avrebbe pregiudicato l'intera storia e cioè la piattezza e la non-evoluzione del personaggio. Tommaso infatti è un personaggio a tutto tondo che evolve nel corso della narrazione trasformandosi, come fosse un bruco che diventa farfalla, da immaturo conservatore a coraggioso avventuriero in grado di prendere in mano le redini della propria vita e affrontarla. Sbagliando, inciampando ma crescendo. Da bravo giornalista inizia a scavare nella vita passata dei suoi genitori, come un chirurgo apre il ventre della Storia italiana e si immerge nelle vicende delle BR, del Superclan, degli scontri di piazza, delle spedizioni punitive, dei sequestri, dei ricatti e delle bombe. Appura la relazione tra suo padre e Giangiacomo Feltrinelli; scopre la indole temeraria e guerrigliera del padre, ascolta attento e prendendo appunti ciò che vecchi amici o colleghi di suo padre gli narrano; si reca fisicamente suoi luoghi attraversati dalla presenza di Alice e Michele; un uomo e una donna che sembrano sempre più distanti, personaggi estranei ma terribilmente importanti dei quali Tommaso sta studiando vita, morte e miracoli. Come il migliore degli investigatori Tommaso segue le tracce, sente i testimoni, fruga negli archivi di giornali e vola con l'immaginazione venendo lentamente inghiottito in un gorgo di insonnia, inquietudine, frenesia e disperazione. Come in un gioco a perdere, il disvelamento del passato richiede un alto tributo di sangue. Nel volgere di brevissimo tempo Tommaso perde la possibilità di un rinnovo di contratto, rompe con la fidanzata e soprattutto distrugge il delicatissimo equilibrio famigliare che i suoi zii adottivi erano riusciti a costruire decidendo anch'essi, di comune accordo, di seppellire un passato troppo doloroso per tutti. È infatti Diana, la zia psicanalista, colei che ho ha allevato come fosse suo figlio, che entra in crisi rivivendo nella sua mente le tribolazioni del passato, facendo i conti con le menzogne che, per il bene del bambino, aveva sempre sostenuto e propugnato come fossero la verità. Grazie anche al suo tragico contributo il puzzle della vita di Tommaso e dei suoi genitori prende lentamente corpo fino a portarlo, nella seconda parte del romanzo, a Parigi prima e nella vinicola provincia francese poi in un susseguirsi crescente e sempre più intenso di salti temporali e leggeri sbalzi narrativi che travolgono il lettore fino all'ultima  pagina. 

Nicola Ravera Rafele.
Il senso della lotta è un romanzo attraversato da una vena storica che, attraverso le vite dannate dei genitori di Tommaso, prova a ritornare al lettore lo specchio di una società politicamente e socialmente conflittuale dove non esistevano limiti ultimi di fronte ai quali fermarsi per promuovere le proprie battaglie ideologiche. Una società in subbuglio dove il crinale tra opportunismo politico e cieca fiducia nelle proprie idee era la cifra caratteristica di movimenti studenteschi e antipolitici che, la Storia ha dimostrato, non sono poi riusciti a produrre quella rivoluzione tanto desiderata. La lotta persa da una generazione ma, forse, vinta dalla caparbietà e dall'accettazione della sofferenza da Tommaso Musso che, proprio nella ricerca della verità, ha trovato il suo senso. Rafele costruisce in modo abile l'intero romanzo alternando piani spazio-temporali diversi che però non confondono il lettore, al contrario lo accompagnano tenendo alta la tensione narrativa. L'autore usa inoltre uno stile paratattico e incisivo che però, in alcuni passaggi comunque molto rari, lascia trapelare un'eccessiva teatralità dal gusto manierista. Rafele è molto bravo a costruire i rapporti tra i personaggi, farne emergere incongruenze, debolezze e contraddizioni dimostrando di saper maneggiare le vite narrative dei suoi "cuori d'inchiostro" estrapolandone l'anima e la gelosa intimità arricchendo il tutto con una prosa limpida, lineare ed emotivamente evocativa. 

Il senso della lotta
Nicola Ravera Rafele
Fandango libri, pp. 438, 2017
18,50

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