domenica 30 aprile 2017

Da dove la vita è perfetta

La copertina del libro.
Lmaternità quale condanna inappellabile e desiderio irraggiungibile, tanto distante e incorporeo da poter, con la sua assenza, distruggere la presenza immanente della vita. Sono i due poli narrativi che si incarnano rispettivamente nella giovane Adele, costretta a perdere un altro anno scolastico a causa dell'ingombro del pancione, e nella più matura e determinata Dora, un' insegnante di buon ceto sociale, sposata con un architetto in rampa di lancio ma priva suo malgrado della capacità di procreare. Da dove la vita è perfetta propone un viaggio attraverso due esistenze travagliate e sofferenti che sembrano destinate ad incrociarsi e aggrovigliarsi conducendo il lettore allo scioglimento finale. Quella di Adele che, dovendo fare i conti con la realtà di miseria e degrado in cui vive assieme alla madre Rosaria e alla sorella Jessica, decide di non riconoscere la figlia dopo il parto e quella di Dora che è invece alla perenne ricerca dell'ingegno medico che trasformi la sterilità in giardino.  

Avallone utilizza una costruzione romanzesca non priva di malizia furbesca pigiando immediatamente il piede sull'acceleratore per poi interrompersi e, dopo un flashback che costituisce l'intero libro, riportarci al punto di partenza. Il lettore si ritrova così a ripercorrere due vicende che scorrono parallele e che piano piano assumono i contorni di due treni lentamente convergenti i quali, specchiandosi nelle rispettive carrozzerie, rivelano la propria diversità di fondo: culturale e  soprattutto sociale. La giovane Adele è costretta a fronteggiare una situazione più grande di lei in cui il padre è assente, la madre sostiene la famiglia con uno stipendio misero e il suo ragazzo, Manuel, dopo averla messa incinta si sottrae al peso delle sue responsabilità. A far da sfondo a questa scricchiolante desolazione umana, quasi fosse la naturale proiezione di tale stato di cose, vi sono i Lombriconi. Casermoni di cemento assimilabili ad apiari in cui ogni cella-appartamento è ricettacolo di difficoltà e impossibilità di fuga come se nascere e crescere lì fosse una condanna a rimanervi appiccicato. In questo deserto però ha origine la vita, Bianca. Dora al contrario vive nell'agiatezza a contatto con un mondo che in cambio di moneta sonante è disposto ad aiutarla nel perseguimento della sua ossessione sotto forma di terapie ormonali, visite ginecologiche, assunzioni di acido folico. Affiancata dal marito Fabio che viene portato all'esasperazione dalla determinazione maniacale della moglie insegue il suo sogno prendendo in considerazione la strada dell'adozione. In questo lusso però non ha origine la vita. 

Silvia Avallone.
Da dove la vita è perfetta è  un romanzo di incastri oppositivi in cui ad un vuoto che si apre da un lato corrisponde un pieno che prende corpo dall'altro; in cui ad una scelta sofferta fa da contraltare la gioia di un'altra persona. Guidata dalla propria sensibilità femminile Avallone prova a gettare lo sguardo sul corpo femminile quale oggetto narrativo che contempla al suo interno una duplice natura  in grado di presentarsi maligna o al contrario benigna. Esso, al contrario di quello maschile, é il depositario della prerogativa tutta femminile della vita. L'utero materno è il luogo mistico da cui ha origine l'esistenza umana, un luogo dell'essere così fragile e al tempo stesso così resistente da cagionare sofferenza o gioia oppure entrambe assieme.  É un romanzo che riecheggia la struttura geometrica del tao (noto anche come yin e yang) dove le protagoniste femminili odiano ciò che sono, detestano la propria condizione e invidiano la condizione dell'altra: Dora vorrebbe quell'agognato bambino per il quale Adele non si sente assolutamente pronta. Troppo giovane, troppo inesperta, troppo povera, troppo tutto. Il complesso tematico che l'autrice ha deciso di mettere sul tavolo d'analisi avrebbe potuto tuttavia essere affrontato con maggiore cura, attenzione e introspezione. E qui sta forse la pecca maggiore del volume. Avallone infatti si dimostra incline all'utilizzo di uno stile sovraccarico di figure roboanti e di impatto ("la mente era crollata", "dannatamente bella", "sbraitava in mezzo alla strada") e qualche cliché stilistico perdonabile che però nel complesso sembrano quasi cercare di compensare l'incapacità di approfondire la psicologia vera e propria dei personaggi. Dora e Adele, i due pilastri della narrazione, sono mosse con abilità da marionettista ma lasciano poco poiché l'autrice non ha avuto il coraggio (o la capacità o che altro?) per andare a fondo della loro relazione umana, fisica, psicologica con il bambino (Adele) e con l'assenza (Dora). Personaggi delineati all'esterno ma cavi all'interno che lasciano una sensazione di superficialità diffusa a cui si aggiungono alcuni personaggi (Serena, l'amica di Dora, e Maria Elena, una specie di boss della malavita in gonnella e tacchi a spillo ) dei quali si sarebbe potuto fare anche a meno. 

Da dove la vita è perfetta
Silvia Avallone
Rizzoli, pp. 376, 2017
19,00





lunedì 10 aprile 2017

Jean-Claude Romand: l'Avversario di se stesso

"La mattina del sabato 9 gennaio 1993, mentre Jean-Claude Romand uccideva sua moglie e i suoi figli, io ero a una riunione all'asilo di Gabriel, il mio figlio maggiore, insieme a tutta la famiglia." 

La copertina de L'Avversario.
Inizia con la brutalità orrorifica della peggiore cronaca nera il romanzo-cronaca di Emmanuel Carrère disvelando, soprattutto ai virtuosi dell'anti-spoiler, il finale della tragedia e l'identità dell'assassino. L'interesse del lettore, che parrebbe depotenziato dalla rivelazione della conclusione della storia, non può che focalizzarsi sugli altri elementi che a norma letteraria compongono il genere giallo, a cui beninteso questo volume non appartiene, e cioè la definizione del movente e le modalità di attuazione del delitto. Attraverso una prosa cronachistica, che cerca di mantenere una patina di obiettività giornalistica che di fronte all'orrore dei fatti viene stracciata lasciando che l'"io" narrante esponga le  sue riflessioni, l'autore di Limonov ci introduce nella spettacolare e aberrante esistenza di Jean-Claude Romand. Sin dall'incipit dunque il lettore é già a conoscenza della conclusione del libro ed ha già condannato l'uomo in quanto autore di uno dei delitti più efferati di cui una persona possa essere responsabile: uxoricidio e infanticidio. Nonostante ciò non si può che essere avvinti dalla perversione di Jean Claude Romand e il volume si legge come se non si sapesse il finale, rabbrividendo di fronte all'abiezione dell'uomo, emozionandosi, indignandosi, fremendo e temendo come se le cose dovessero ancora accadere mentre in realtà tutto é già avvenuto e archiviato nei faldoni della giustizia transalpina.

Jean-Claude Romand é un uomo che fa della riservatezza un punto d'onore e che, facendo leva sull'attitudine a mentire sviluppata in tenera età, ha saputo costruire un castello di bugie e falsità in grado di trarre in inganno moglie, figli, parenti e amici. Per anni si è finto un dottore di spicco, laureato ma con titolo ovviamente mai conseguito, e luminare abituato a camminare nei palazzi dell'OMS di Ginevra e col tempo ha saputo costruirsi una reputazione inattaccabile: padre di buona famiglia, sposato, economicamente agiato, prototipo del self made man. In sintesi l'uomo perfetto, destinato ad una vita regolare, quasi prevedibile e dunque noiosa. Col passare degli anni e con l'esposizione al pubblico di se stesso l'intera costruzione menzognera inizia ad indebolirsi fino a rischiare di schiacciarlo sotto il peso della vergogna e della delusione che temeva di vedere dilagare negli occhi di Florence, la moglie, e dei due figli piccoli. È a questo punto, invaso dal terrore delle conseguenze, che decide di inscenare l'ultima recita confidando nella prospettiva di riuscire ad ingannare anche l'autorità inquirente e gli amici. Dopo aver ucciso la sua famiglia, codardo fino al  midollo nel non prendere in seria considerazione l'idea di suicidarsi, appicca un incendio alla soffitta, ingolla delle pastiglie scadute da anni e quindi inefficaci e lascia che l'intervento dei vigili del fuoco, sollecitato  dai netturbini di passaggio, lo salvi. Stavolta però il trucco non funziona e dopo poco tempo, grazie ad un paio di telefonate e accertamenti, gli inquirenti dispongono l'arresto e per Jean-Claude inizia la fase del processo, penale ma inevitabilmente mediatico che si concluderà con una condanna all'ergastolo che Romand ha finito di espiare nel 2015.
  
Emmanuel Carrère.
Carrère ha deciso di affrontare la vicenda cercando di entrare nella testa dell'uomo, privilegiando un'attenzione, solo apparentemente macabra, verso l'assassino piuttosto che verso le vere vittime. Nell'ottica ribaltata di Carrère Jean-Claude, pluriomicidia e architetto bugiardo, é vittima dell'Avversario cioè di se stesso. Un uomo asservito al demone bugiardo al quale ha giurato fedeltà e dal quale non può affrancarsi semplicemente perché al di fuori del castello che ha costruito c'è il Nulla. Jean-Claude, spogliato di tutto, gettato nella realtà del mondo, è un fantasma, un non-essere incapace di agire e di muoversi. In sintesi un involucro vuoto che trova ragione d'essere nelle bugie che riempiono il vuoto. Lo scrittore francese cerca di indagare l'intimità dell'uomo ricostruendone via via la storia attraverso un intreccio narrativo e cronachistico che mischia pezzi di vita e frammenti biografici dell'assassino e le motivazioni che alla fine lo hanno condotto in un vicolo senza via d'uscita. Il comportamento di Jean Claude ha origine dalla convinzione che una bugia, sia essa più o meno grande, é tollerabile, un peccato veniale che non lascia tracce e pertanto si convince di poter uscire quando vuole dal circolo vizioso della menzogna. Tuttavia, col passare del tempo, una bugia tira l'altra, la menzogna diventa la norma tanto che realtà e finzione si sovrappongo a tal punto da diventare indistinguibili e indiscernibili. Questo è il loop in cui Jean-Claude cade e dal quale non può uscire se non cancellando tutto e tutti tranne se stesso dimostrando in tal modo la sua propensione nascosta alla sopravvivenza e all'egoismo che ne deriva. 

"Fuori era completamente nudo. Tornava all'assenza, al vuoto, al nulla che per lui non costituiva un incidente di percorso ma l'unica esperienza della sua vita. La sola che abbia mai conosciuto, credo, anche prima di ritrovarsi al bivio."

Jean-Claude Romand.
L'Avversario, il cui protagonista richiama la filosofia arendtiana sulla banalità del male, assomiglia ad una parabola sul potere corrosivo della menzogna la quallogora come un tarlo non solo chi la genera ma anche chi la subisce passivamente senza accorgersi che essa ha per lungo tempo costituito la realtà, un appiglio sicuro che, nell'atto del disvelamento, crolla su se stesso e cede spalancando un baratro in cui le esistenze precipitano come un uccello privo di ali. É questa la condizione in cui loro malgrado si ritrovano gli amici dell'impostore che non possono sottrarsi dal chiedersi chi fosse quell'uomo e come fosse stato possibile non smascherare i suoi giochi di prestigio lasciando emergere il dubbio che, forse, avevano fallito su tutta la linea nel ruolo di amici che si erano convinti di aver assunto. 

L'Avversario
Emmanuel Carrère
Adelphi, pp. 169, 2013
17,00