giovedì 8 giugno 2017

Oltre le trincee, dentro la città

La copertina del libro.
L'assedio di Helen Dunmore appartiene a quel particolare scaffale della libreria che ospita volumi in cui le vicende che hanno fatto la Storia si intrecciano con storie con la s minuscola. Siano esse reali o fittizie poco importa dato che l'importante è che queste storie "minori", dove non ci sono generali o presidenti, permettano di adottare una prospettiva diversa rispetto a quella a cui siamo abituati e a cui lo studio scolastico della materia storica, per una serie troppo lunga di ragioni, ci ha abituato.  L'assedio dunque non segue da vicino le azioni eroiche dei combattenti disposti a morire per la patria, non adotta lo stile narrativo della produzione fenogliana sui partigiani e non si dilunga in descrizioni di spettacolari combattimenti aerei perché l'emergenza e il fulcro di interesse della narrazione sono da tutt'altra parte. Essi risiedono nello sconvolgimento della quotidianità di un popolo, quello russo, già provato dal regime staliniano e già abituato, almeno per quanto concerne Leningrado, a vivere di razionamento in un paese la cui terra potrebbe dare ben di più. Dunmore sposta il tiro sulla fatica inutile a cui sono chiamate le donne per scavare trincee, sulla difficoltà di reperire una scheggia di sapone, sull'impossibilità di muoversi in una città che fino a poche settimane prima era tua di diritto, sull'abbandono della propria dacia al vandalismo degli oppressori e sull'incapacità di prospettare un minimo di futuro perché da un momento all'altro un bombardiere nazista potrebbe disintegrare il tetto sotto cui si abita. È un romanzo delle piccole cose  e delle grandi sofferenze dove, per una volta, il palcoscenico della tragedia viene lasciato a coloro che mai appariranno negli almanacchi di storia se non sotto forma di una cifra approssimativa nella colonna dei sommersi. 

Donne al lavoro a Leningrado.
Anna è una giovane ventitreenne che lavora con coscienziosità e passione come assistente in un asilo di Leningrado e che, al contempo, deve occuparsi del padre aspirante poeta e scrittore e del fratellino più piccolo, Kolja, poiché la madre, Vera, è morta caricando sulle spalle di Anna la gestione quotidiana della dacia in campagna e della famiglia. Questa situazione di quieta precarietà campagnola viene rotta dall'annuncio dello scoppio della guerra e soprattutto dalla notizia della costante avanzata dell'esercito tedesco che, sfruttando la stagione favorevole prima del grande gelo, ha iniziato un certosino lavoro di conquista del territorio russo e di accerchiamento di Leningrado con l'obiettivo di stremare la città e farla capitolare. Anna decide di mandare il padre Michail e Kolja a Leningrado affinchè siano al sicuro mentre lei si unisce ad altre migliaia di donne che, giorno e notte, si dedicano a scavare trincee e fosse nella speranza di rallentare il progredire del nemico. Anche questo sforzo risulta vano e dopo che anche queste ultime linee sono crollate ha inizio uno degli assedi più famosi della storia bellica: 900 giorni di assedio e 1.250.000 morti tra civili e militari russi. Anna e la sua famiglia si riparano nella loro abitazione cittadina e qui accolgono anche Marina Petrovna, un'attrice decaduta a causa delle sue posizioni politiche, e Andrej, un giovane medico dottorando di cui Anna si innamora sin dal primo momento e che lavora come volontario all'ospedale di Leningrado dove è costretto a vivere quotidianamente con orrori e malattie che solo guerra, freddo e inedia possono provocare. La piccola abitazione diventa l'unica scenografia della seconda parte del romanzo assumendo le fattezze di una noce fredda ma protettiva attorno alla quale spirano venti di battaglia e di morte. Con una penna che non risparmia i dettagli delle privazioni del nucleo formatosi, Dunmore racconta le miriadi di difficoltà di cui Anna deve quotidianamente farsi carico dato che sotto le bombe dell'aviazione tedesca non esiste il domani né tanto meno il dopodomani. Si vive alla giornata: perdere la tessera del razionamento equivale a vincere un biglietto di sola andata per l'inferno, recuperare ciocchi di legna carbonizzati permette di vivere un giorno in più. 

"E' buffo come ti restano impresse le cose, senza che ti renda conto di saperle. Sono sicura che è Puskin. Sì, ha ragione, è tutto quello che vogliamo, libertà e pace. Quindi tutto questo è già successo, ecco che cosa vuole dire. La stessa sofferenza, le stesse invasioni e battaglie. Abbiamo dovuto affrontarle già una volta, e ora ci tocca affrontarle di nuovo. Soltanto la gente è diversa. Tutto questo è già successo e continuerà a succedere."

Helen Dunmore.
In un contesto globale che vive sotto la minaccia dell'atomica e che deve fronteggiare diversi focolai di guerra, L'assedio assume, come ogni romanzo che aspiri ad essere definito tale, una dimensione e una valenza universale perché Leningrado non rappresenta solo se stessa ma si trasforma in tutte le città che vivono ancora oggi in uno stato d'assedio o la cui popolazione è costretta a fronteggiare mancanza di approvvigionamenti, indisponibilità idrica e razionamenti forzati e l'esercito tedesco, che la Storia e il generale Inverno hanno dichiarato sconfitto, diventa simbolo di tutti i battaglioni, di tutti i commandi e di tutti i soldati che hanno l'assedio, la conquista e la distruzione come stelle polari che li guidano nel loro cammino predisponendosi a schiacciare o eliminare qualsiasi  impedimento, umano e non, si frapponga tra essi e il loro fine. In sostanza con l'adozione di un punto di vista coincidente con le prime vere vittime di ogni conflitto, cioè i civili, la battaglia di Leningrado acquisisce la valenza di paradigma di qualsiasi conflitto portato all'estremo in cui, come conseguenza della cieca mania di potenza da un lato e del sacrosanto diritto alla difesa dall'altro, gli eserciti si fronteggiano e si distruggono e la popolazione civile, colei che soffre la fame, l'indigenza e le malattie, è come sempre la prima vittima. 

L'assedio
Helen Dunmore
Net, pp. 318, 2005
8,00