La “Young
Adult Literature”, cioè quel genere letterario rivolto alle generazioni più
giovani di lettori, conosce da anni una progressiva espansione e sta ampliando
sempre più le tematiche proposte al giovane pubblico, spaccando a colpi di
piccone tabù sociali e sessuali, pregiudizi e ottusità culturali e mettendo il
lettore di fronte a situazioni spinose e scivolose senza risparmiargli talvolta
la cruda realtà, testimoniando come il genere possa essere definito maturo e
non tanto distante dalla letteratura per adulti. Esistono, come in ogni ambito,
buoni e cattivi libri, scritti da penne competenti o scribacchini incapaci ma,
al netto di un discorso qualitativo che sarebbe troppo lungo, vengono venduti e
hanno successo.
Il
genere poggia la sua base più solida sull’empatia e sulla vicinanza,
soprattutto anagrafica prima ancora che culturale o valoriale, tra il o la
protagonista del romanzo e il lettore stesso. Quest’ultimo è condotto a
partecipare in prima persona ai dolori, alle sofferenze, alle gioie e alle
speranze dei coetanei che si muovono nei più disparati contesti tra le pieghe
del libro. Elemento ricorrente, soprattutto nel sottogenere del fantasy
distopico ma non solo, è l’atteggiamento di contrasto e di rifiuto verso il
mondo degli adulti, che si permette di allungare i tentacoli sulle vite dei
giovani ragazzi, di controllarli. Un mondo esecrabile per le sue ipocrisie e da
sostituire con un ordine nuovo, un nuovo modello di vita e convivenza
reciproca. La YA literature è tanto apprezzata anche perché costituisce una
nicchia letteraria a cui solo le nuove generazioni hanno accesso e nella cui
produzione ritrovano temi ricorrenti anche nella loro vita quotidiana: la
ribellione anche violenta che viene descritta nel libro è la versione
edulcorata dei litigi in famiglia, dei dissidi con i genitori piuttosto che con
i fratelli o le sorelle, del desiderio di sottrarsi alle grinfie dei
professori. Serpeggia un desiderio latente ma evidente di spezzare il filo
dell’autorità costituita che sia essa la famiglia o la scuola dove comunque
governano gli adulti. Si tratta di un tipo di letteratura che a suo modo dà
involontariamente voce ad un conflitto generazionale che non si consuma tra
vecchi e più giovani, bensì tra adulti e giovani leve generando nei
protagonisti e di riflesso nel lettore attento ed empatico un processo di
crescita e formazione; tanto che per molti dei romanzi che afferiscono a questo
genere si può parlare di “romanzi di formazione”. In essi infatti si assiste al
mutamento dell’eroe, che può essere fisico, psicologico, caratteriale, emotivo;
alla sua crescita personale e in rapporto al mondo che lo circonda. Molto
spesso i personaggi che incontriamo nelle prima pagine di un romanzo sono
diversi da quelli che ci accompagnano fino all’ultima battuta della storia.

Recentemente
è stato ripescato e accostato al genere YA un “vecchio” romanzo di fantascienza
edito nel 1986, vincitore al tempo dei premi Hugo e Nebula per il miglior
romanzo fantascientifico dell’anno. Si tratta de Il gioco di Ender (The
forever man nel titolo originale) scritto da Orson Scott Card che, dopo
diverse resistenze sacrosante a posteriori, ha deciso di cedere a Hollywood i
diritti di produzione cinematografica. Nel 2013 ha così fatto capolino nelle
sale Ender’s game, un buon prodotto,
sufficiente da un punto di vista cinematografico ma che ha pagato le sfumature
psicologiche contenute nel libro, obiettivamente difficili da replicare sul
grande schermo in tempi che nel cinema moderno sembrano diventati
standardizzati, oltre i quali un film non dovrebbe arrischiarsi a spingersi.
(Quando avrete l’occasione di vedere una pellicola americana fate attenzione
alla durata: quasi sicuramente si aggira intorno alle due ore, minuto più
minuto meno). Al di là dell’eterna questione sulla bontà delle trasposizioni
cinematografiche di romanzi di successo, resta il fatto che Il gioco di Ender rappresenta un vero
punto di partenza nell’analisi dell’intero genere YA, una sorta di ground zero letterario. Il primo volume
del ciclo di Ender Wiggin raccoglie in sé molti stilemi del genere e
soprattutto può essere definito come padre putativo dell’attuale e
fortunatissima sequela di romanzi-film di carattere distopico: gli Hunger Games di Suzanne Collins, la Divergent series di Veronica Roth e la
saga di Maze runner ad opera di James
Dashner. La situazione di base da cui si diramano le vicende è sempre la
stessa: un gruppo di ragazzi, assoggettati ai voleri più o meno espliciti degli
adulti, rinchiusi spesso in strutture da cui è impossibile fuggire, circuiti e
controllati, che cerca di fuggire e di combattere contro il potere costituito
al fine di impiantare un nuovo ordine. Al confronto di ciò che, fisicamente e
psicologicamente, è costretto a subire il giovane Ender, le avventure dei suoi
moderni colleghi assumono la conformazione di una passeggiata sui monti.
Il fato
di Andrew “Ender” Wiggin è segnato fin dalla sua nascita, anzi prima ancora che
venga al mondo. Il giovane terrestre è destinato a salvare la razza umana
dall’attacco della specie aliena degli Scorpioni, esseri insettoidi che per
necessità demografiche non dissimili da quelle terrestri colonizzano i pianeti
abitabili di più sistemi solari diversi. La Terra già due volte ha respinto gli
attacchi grazie all’eroismo del misterioso soldato Mazer Rackham; adesso si
prospetta un nuovo scontro e il pianeta necessita di un nuovo comandante di
flotta, un individuo che abbia in sé l’istinto del killer, dell’assassino senza
scrupoli e al contempo conosca la gentilezza e la comprensione umana. È tra
questi due estremi che si inserisce Ender, è lui il prescelto che ad appena sei
anni viene tolto dalla famiglia e portato sulla stazione orbitante che ospita
la Scuola di Guerra, un ambiente militare che non concede spazi di
comunicazione con l’esterno e all’interno del quale Ender viene isolato in modo
da temprare il suo spirito, al fine di renderlo forte e risoluto nelle sue
decisioni. Sottoposto ad una ferrea disciplina Ender deve imparare che, in
qualunque situazione si trovi, dovrà cavarsela da solo, non avrà mai alcuna
sponda su cui appoggiarsi men che meno dagli adulti che nel romanzo di Card
trovano consistenza nei professori e negli ufficiali che si occupano del severo
addestramento delle leve. Ender è sottoposto ad una crescente dose di responsabilità,
a pressioni psicologiche perpetrate astutamente dai giochi simulati al computer
e dalle scelte degli ufficiali della Scuola il cui scopo unico è la formazione
di futuri generali da battaglia, di macchine da guerra infallibili. Il tutto al
costo disumano e intollerabile di sacrificare l’infanzia e l’innocenza di
decine di bambini, quella di Ender in primis. Le giornate di Ender trascorrono
tra battaglie simulate, tattiche evasive e offensive, giochi virtuali, soprusi
e invidie senza che al lettore sia dato modo di entrare in contatto con il lato
bambinesco della vita dei ragazzi, anche perché esso è totalmente assente. Card
costringe il giovane Ender ad un percorso crudele, asfissiante, senza
compassione né pietà che rischia di culminare con l’esaurimento nervoso del
giovane protagonista e dei suoi capi di battaglione, stressati oltre ogni
limite durante le simulazioni fin troppo reali alla Scuola Ufficiali.
Ma è
solo nella parte che conclude il romanzo che si consuma la crudeltà più
efferata ai danni del giovane Ender che, convinto di giocare ad una delle
diverse simulazioni belliche finora propostegli, distrugge il pianeta degli
Scorpioni commettendo un vero genocidio. Non appena gli vengono rivelate le
conseguenze delle sue azioni l’integrità psicofisica subisce un durissimo colpo
e il ragazzo, vinto dall’atrocità commessa, cede. È in questo momento che
avviene lo sconvolgimento nel paradigma comportamentale e sentimentale di Ender
che capisce fino a che punto si è spinto il cinismo della Flotta Internazionale,
disposta ad ingannare il suo miglior allievo, trasformandolo in un burattino di
talento caricando sulle sue spalle il peso di uno sterminio di massa, pur di
vincere la guerra. Contemporaneamente Ender rifiuta l’istinto del killer con il
quale ha distrutto il pianete degli Scorpioni per lasciarsi andare al senso di
colpa e alla compassione per quel popolo che solo lui era stato in grado di
capire e, in fondo, di amare.