
Voleva
essere una bomba per il movimento ciclistico, sarà nel bene o nel male un
cerino. Perché se il movimento tutto è davvero marcio fino al collo allora ben
vengano libri-verità che scoperchiano il marciume; si sa che anche nel ciclismo
vi sono irregolarità di vario tipo, è inutile fare i puristi del nulla; si sa
che il doping è in parte usato ed è lecito supporre che esistano giochi di
potere (come del resto anche nel miliardario mondo pallonaro); ma da qui a
sparare nel mucchio affermando tesi apodittiche e senza particolari riscontri
ce ne passa. La quarta di copertina recita: “Questa è la Gomorra del ciclismo”
con buona pace di Roberto Saviano. Una Gomorra del ciclismo sarebbe fatta di
nomi, date, luoghi, riferimenti puntuali. Se Saviano cita i Michele Zagaria, i Francesco
Schiavone e illustra i loro traffici allo stesso modo Di Luca avrebbe dovuto
citare i pezzi grossi, i pesi massimi, i dirigenti collusi, i ciclisti corrotti,
coloro che, come afferma lui coperti da sponsor e squadroni in stile Team SKY o
Mapei, erano “curati”, cioè dopati. Invece no. Sicuramente per comprensibili
timori di querele o ritorsioni di vario tipo ma di denuncia specifica non c’è
una vera traccia, una vera pista.
È autore
di una impreciso e vago qualunquismo e in diversi passaggi non risparmia fango praticamente
a nessuno dei suoi colleghi; non credendo
alle loro affermazioni di andare a pane e acqua. Per esempio riferendosi al
mondiale 2000 a Plouay, in Francia, racconta la sua eroica fuga di 200
chilometri, ripresa perché la squadra polacca prima e quella italiana poi,
senza alcun senso, si erano messe a tirare il gruppo chiudendo il distacco. Per
motivare questo atteggiamento obiettivamente autolesionista Di Luca tira in
ballo l’influenza lobbistica dei costruttori e delle federazione e conclude
asserendo di aver scoperto che il team polacco era stato comprato. Affermazione
teoricamente plausibile, anche nel ciclismo esisteranno dei farabutti e degli
interessi come nel calcio o nel basket ma che non trova alcun riscontro ad un
banalissimo fact checking in rete. Per di più non cita nomi, né costruttori né
marchi, né corridori. Per quale motivo un lettore dovrebbe dare pieno credito a
affermazioni tanto fumose e prive di fondamento?

Diversi sono
invece i due casi accertati dall’antidoping di positività al CERA (2009) e EPO
(2013) in cui le prove contro Di Luca sono evidenti e il corridore non fatica
ad ammetterlo, anzi, in alcuni passaggi molto interessanti, racconta le
modalità di somministrazione in endovena dell’EPO (la regina del ciclismo dopato)
e si lancia anche nell’elenco delle sostanze dopanti più diffuse quali il GH,
ormone della crescita, testosterone, insulina, EPO, vari tipi di CERA, viagra,
pastiglie di nitroglicerina, emotrasfusione più o meno potenziata non tacendo
gli effetti più devastanti a lungo termine quali ispessimento delle pareti
cardiache, tumori e trombosi. A testimonianza dell’incoscienza dell’atleta che si
sente onnipotente, al di sopra del mondo e che, in virtù della sua posizione,
può tutto; addirittura permettersi di rischiare un colpo apoplettico per
vincere una tappa o una classica del Nord. Di Luca, anche nello snocciolare
farmaci e posologie, assume un tono naturale, come naturale nel mondo del
ciclismo è appunto “curarsi”; l’idea di aver commesso un reato sportivo, una
frode di primo livello in un ambiente in cui le prestazioni determinano la
vittoria o la sconfitta, non scalfisce la sua spavalderia e la sua costante
sbruffonaggine che lo convincono che doparsi è necessario in un mondo di bari;
che tutti sono dopati e quindi se il doping è realtà assodata l’idea stessa che
esso costituisca reato decade. Insomma si normalizza.

Un bagno
di umiltà e un buon esame di coscienza sarebbero forse i benvenuti.
Nessun commento:
Posta un commento