
“The
crown must always win”. Sta tutto qui gran parte del senso di questa serie tv
2016 targata Netflix che, a quanto si dice, non pare aver badato a spese per
penetrare nelle stanze segrete di Buckingham Palace, nel gabinetto del Prime
Minister a Downing Street, numero 10, ma soprattutto nella vita della regina.
Infatti l’intero progetto sarebbe costato 100 milioni, ovvero 10 milioni ad
episodio; un invest imento di non poco conto per un serial ma che pare dare
buoni frutti, anzi ottimi. Inutile girarci intorno “The Crown” è eccezionale, meraviglioso.
L’intera
narrazione ruota intorno alle vicende familiari e politiche della regina
Elisabetta II (Claire Foy) e del regno inglese, al cui comando, dopo il governo
Attlee, siede sir Winston Churchill (John Lithgow), rieletto nel 1951. Lo
spettatore poco avvezzo o più che altro abituato alle fiction nostrane potrebbe
cadere nell’equivoco presumendo che l’intera storia giri attorno a romanticismo
spinto, intrighi amorosi, tradimenti e gelosie. Innegabile che alcuni elementi
vi siano anche qui ma sono elaborati con tatto, stile e senza forzature
fastidiose. La produzione si concentra sui rapporti personali dei personaggi
che si intrecciano inevitabilmente con il ruolo istituzionale che essi stessi
ricoprono ingenerando una confusione identitaria che sfocia in contrasti
trattenuti e incomprensioni matrimoniali. Esemplificativo il rapporto curato
nei dettagli, che si evolve via via che si dipana la storia, tra Filippo (Matt
Smith) ed Elisabetta. Da un idillio amoroso, che già traspare dai primissimi
minuti della prima puntata, si passa gradualmente, causa l’incoronazione a
regina della giovane Lilibeth, ad un rapporto più teso, meno fluido e armonico.
Più istituzionale poiché appunto “the crown must always win”; Elisabetta stessa
si trova in seria difficoltà, considerata anche la giovanissima età e un ambiente
tutt’altro che placido, nel decidere di situazione in situazione quali panni
indossare o smettere: quelli di regina imperturbabile e quasi anaffettiva o
quelli di madre e moglie del principe di Mountbatten?

Il
merito della serie, al di là della piacevolezza che le ore di visione possono
garantire, sta nella capacità per nulla didascalica, ma al contrario,
implicita, emozionante e fedele, di darci due lezioni: una di storia e una di
politica britannica. Grazie alla fedeltà del contesto storico che viene dipinto
sullo sfondo, in cui si inseriscono le vicende verosimili dei reali e degli
uomini politici, lo spettatore si trova ad attraversare un’epoca di cambiamenti
epocali e di vicende nazionali che spaziano dal Grande Smog del dicembre del
1952 ai test atomici sovietici, dai viaggi reali nei paesi del Commonwealth al
rapporto di amore-odio che lega Edoardo VIII, il quale abdicò in favore del
fratello Giorgio VI, alla Gran Bretagna. Un esempio di attinenza storica che
andrebbe copiato dalle produzioni nostrane, vedere la serie de I Medici, criticata proprio sul versante
della fedeltà storica da diverse parti, che prende la storia e la sbrindella
piegandola alle necessità della propria trama fittizia. Allo stesso tempo la
serie fa luce, soprattutto per noi continentali che mal capiamo e comprendiamo
l’esistenza della Corona inglese, sull’importanza simbolica e culturale, prima
ancora che politica, della monarchia inglese. Strabiliante a tal proposito il
settimo episodio (Sapere è potere) dove un colloquio a Buckingham Palace tra la
regina e Churchill, che per tradizione non può sedersi al cospetto della
regnante, rivela l’essenza stessa, il succo, la linfa vitale su cui da secoli
si regge la monarchia costituzionale britannica. E cioè la comunanza di intenti
e la fiducia reciproca che deve esserci tra la parte operativa (the efficient)
e la parte nobile (the dignified); ovvero il governo esecutivo e la dignità
della Corona. Solo se questo requisito costituzionale è soddisfatto la tenuta
politica del paese è assicurata.
In
mezzo a tanta bontà è quindi superfluo lodare le ottime performance recitative
di tutti i personaggi, con particolare menzione per quelle di Claire Foy e di
un magnifico John Lithgow; perfetta la regia di Peter Morgan (già sceneggiatore
del film The Queen), sempre puntale,
elegante e sobria pur muovendosi in ambienti sfarzosi e immensi. Stesso
discorso per le scenografie, i costumi e le musiche, in parte realizzate da
quel genio di Hans Zimmer, e naturalmente la sceneggiatura , potente,
evocativa, lineare, precisa. Per chi ancora non lo avesse visto, beh si sbrighi.
Voto complessivo: 10/10
Trama: 8/10
Musiche: 7/10
Personaggi: 9/10
Regia:10/10