mercoledì 29 marzo 2017

Una paranza indigesta

La copertina del libro.
Approssimativo. Sfilacciato. Forse addirittura brutto. Roberto Saviano fallisce in pieno il tentativo di smettere i panni che finora hanno contraddistinto il suo agire letterario e non e prova ad indossare le vesti dello scrittore di narrativa. Ha accettato di uscire dai binari a cui è abituato e ai quali ha abituato il suo pubblicoIl che costituisce comunque un tentativo apprezzabileuna sfida con se stessi che però viene perduta. Da brutto anatroccolo ha provato a trasformarsi in cigno e ha tentato di volare ma le ali non hanno retto e, come le ali da arcangelo che i 'paranzini' si tatuano sulla schiena come segno di appartenenza, lo hanno trascinato a terra. Fine della corsa. La valutazione negativa non è rivolta alla persona di Saviano che, al netto delle capziose e ciniche critiche che gli vengono rivolte, ha rappresentato e rappresenta un crack nella storia della letteratura (e non solo) italiana con Gomorra. Il suo libro rivelazione, che ha da poco compiuto dieci anni e che lo ha condannato ad una vita sotto scorta e che ha, soprattutto, contribuito ad accelerare i processi contro i boss della mafia e a rendere partecipe la cittadinanza del funzionamento, delle dinamiche e delle strategie malavitose delle mafie nostrane. La critica è dunque di merito, rivolta unicamente al libro; tale flop letterario (a cui fanno però da contraltare le classifiche che lo hanno visto in testa per diverse settimane) è il frutto di un errore di calcolo da parte dell'autore. Saviano ha probabilmente provato ad utilizzare, al posto del medium della saggistica, quello della narrativa che, lo dicono i dati, é il settore editoriale che vende di più e a cui i lettori attingono di più. Sceglierlo dunque significa poter accedere ad una platea più vasta alla quale trasmettere un messaggio, una conoscenza, un corpo di informazioni.  

Bambino a Scampia.
La paranza dei bambini è ambientato nei quartieri più poveri di Napoli in cui i casermoni grigi, le piazzette incassate tra i condomini, i vicoli sporchi e angusti in cui solo il motorino è in grado di passare costituiscono la topografia principale entro la quale i personaggi, poco più che ragazzini delle elementari, agiscono e provano a guadagnare spazio, farsi strada in mezzo al vuoto di potere creatosi dopo una serie di arresti che hanno indebolito la forza intimidatoria delle famiglie più importanti dei rioni. Nicolas Fiorillo,  detto 'O Maraja in onore dell'elegante locale alle cui feste è solito partecipare, è un ragazzo come tanti che, tra uno scherzo da bullo e una scorribanda in motorino, sogna in grande: vuole conquistare le piazze di spaccio, diventare il ras locale, controllare la zona. È lui il motore che convince il resto della combriccola di ragazzini, ridicoli se non si macchiassero di delitti efferati, a tentare l'assalto al cielo di una Napoli tetra,  sventrata dalla violenza, disposta solo a mostrare il lato peggiore della propria anima. Saviano costruisce una specie di controromanzo di formazione in cui l'evoluzione del personaggio principale non è per il meglio ma, al contrario, per il peggio; Nicolas, più dei suoi sodali che inizialmente tentennano di fronte ai limiti della propria età, è accecato dalla brama di potere e dal desiderio di volere tutto e subito come se non esistesse un "domani" e soprattutto come se le sue azioni fossero senza conseguenze. Sbagliando. Il ragazzo che gioca a fare l'uomo inanella un'esperienza criminale dopo l'altra: comprare un "ferro", sparare sui tetti, sparare ai "negri" che vanno a lavorare, estorcere, minacciare, uccidere.  

Roberto Saviano.
Il tentativo di Saviano di portare alla luce un fenomeno terribile e tragico che per miopia o disinteresse si preferisce definire territoriale è lodevole ma sbaglia i modi. L'autore campano prova a farsi cantore distaccato e onesto di questa generazione fallita, abbandonata a se stessa tanto dalle istituzioni quanto dalle famiglie che vedono, soffrono e sono impotenti, ma non riesce a convincere cercando di animare uno stile freddo, didascalico, privo di mordente in cui si inseriscono dialoghi che, in alcuni casi, sembrano privi di logica sequenziale; sfilacciati, senza capo né coda, buoni solo a riempire la pagina e a prolungare lo spessore del volume. La pochezza dello stile narrativo si riflette anche nella trama del romanzo che si compone di una sequenza di fatti, avvenimenti e scene da fiction televisiva che, giunti alla fine del racconto, non si cementano tra loro per creare una narrazione unitaria ma appaiono come dei pezzi di pane sbocconcellati abbandonati lungo il cammino. L'editoria letteraria ha prodotto obbrobri ben peggiori del romanzo di Saviano ma nessuno sicuramente ne sentiva il bisogno; tanto meno se ne percepisce di un secondo, probabile se non certo, capitolo che renderebbe ancor più pesante una paranza già di per se indigesta.

La paranza dei bambini
Roberto Saviano
Feltrinelli, pp.352, 2016
18,50

martedì 7 marzo 2017

Storia della pioggia e la bellezza dell'Irishness

La copertina del libro edito da BEAT
La pioggia che dà titolo al romanzo è uno degli elementi naturali che molto spesso, se non sempre, viene associato al concetto di tristezza e mestizia come se il cadere di gocce acquose riverberasse nell'intimità e nell'emotività umana. Stando così le cose e dando per buona questa visione del mondo il libro di Niall Williams avrebbe tutte le carte in regola per essere un dramma. Confermando per l'ennesima volta il motto per cui l'abito non fa il monaco il romanzo di ampio respiro che l'autore irlandese ha saputo costruire è un mosaico colorato dove si incrociano numerosi elementi narrativi ed emotivi tra loro diversi i quali convergono in uno stile brillante, sereno, pulito e al contempo poetico e toccante. L'autore riesce a giocare con le corde del cuore del lettore mettendo in scena eventi, fatti e parole che suscitano dispiacere, tristezza, commozione, risate e buon umore. Tutto apparentemente contraddittorio ma non in Storia della pioggia, emblema di una letteratura superba che potrebbe essere definita, senza troppo cincischiare, capolavoro. 

L'intero romanzo poggia sulle gracili spalle di una debole ragazzina malata di leucemia la quale, a causa della malattia che, quasi per pudore, non viene mai citata in modo esplicito, è costretta a letto. Ruth Swain limita la sua vita alle quattro pareti che perimetrano la soffitta ingombra di libri e volumi che costituiscono la collezione bibliografica ereditata dal padre poeta alla quale, per passare il tempo e per passione, Ruth si affida nel tentativo immaginifico di lasciare il proprio corpo mortale e elevarsi nell'alto dei cieli al pari di un angelo. Abbandonare le gracili membra che la malattia ha infiacchito e la genetica le ha recato in dote e camminare nelle verdi campagne con Elizabeth Bennet, scorrazzare nella fumosa e sporca Londra dietro allo scapestrato Oliver Twist, innalzarsi al livello dell'impalpabile grazie alla poesia di Yeats e T.S.Eliot senza dimenticare gli spruzzi di acqua salmastra ricevuti in dono dalla Balena Bianca o la tragicità famigliare di Anna Karenina. 

"Li annusavo prima ancora di leggerli, erano come un ciucciotto per me, che stavo mettendo i denti e piangevo disperatamente. Anche Aeney stava mettendo i denti ma lui non piangeva. Io invece strillavo e la mamma, dopo essersi guardata intorno in cerca di qualcosa per calmarmi, prese Marco Aurelio e me lo ficcò in bocca. Hardy, Dickens, Bronte, Austen, sant'Agostino, Lewis Carroll, Samuel Butler: posso davvero dire di aver masticato la Letteratura fin dalla culla".

Paesaggio irlandese
Il Mondo di Ruth Swain è un universo che oscilla tra il microcosmo della realtà popolare di Faha e il macrocosmo della letteratura, dove Ruth trova sollievo dalla propria condizione ma soprattutto dove la giovane ragazza strampalata trova la chiave di lettura della realtà stessa. Ruth infatti vedelegge e interpreta il mondo come fosse un grande Romanzo. Tutte le vicende che le scorrono in parte, tutte le persone che incappano nel suo cammino non sono altro che personaggi di una grandissima storia, di un racconto la cui origine si è persa nell'oblio dei tempi passati e la cui conclusione non è all'orizzonte perché infinita ed eterna. E all'interno del grande fiume dell'Umanità si inserisce la storia famigliare degli Swain, un'epopea umile e al contempo stesso assurda di cui Ruth è l'ironica e sarcastica narratrice e in cui la cocciutaggine, l'ambizione e la puntuale sconfitta sono fattori indelebili del marchio Swain. Nel suo rendiconto familiare, che solo alla fine del romanzo assume i contorni di una saga, la giovane bibliofila ammalata parte dalle vicende del balordo nonno Reverendo, che era solito vagare al buio per non si sa bene quale motivo lungo i sentieri sterrati e infradiciati dalla pioggia irlandese della contea, arrivando fino a se stessa e alla tragici vicende legate al suo fratello gemello Aeney. Il tutto passando inevitabilmente per la figura del vecchio Abraham Swain il quale, allo scoppio della Grande Guerra, per non ledere l'onore e l'orgoglio della famiglia, era partito per la guerra ritornando miracolosamente salvo dalla trincea dove si era beccato una pallottola tedesca e del padre poeta Virgil Swain, appassionato della pesca al salmone e poi vate fallito, inascoltato e dolcemente incapace di provvedere economicamente al benessere della propria famiglia.

Niall Williams
Il lungo racconto imbastito da Williams è, tra le tante cose, un pretesto per provare a definire cosa sia l'Irlanda, cosa significhi essere irlandese e appartenere ad una terra magica, pulita e profondamente contraddittoria. Williams adotta un registro burlesco e irriverente nei confronti del proprio paese e del popolo cui sente di appartenere non ricorrendo tuttavia al martello del feroce sarcasmo, bensì alla dolce carezza dell'amorevole ironia; prediligendo un atteggiamento in cui la condiscendenza, la tenerezza e il senso di appartenenza si cementificano tra loro dando alle frequenti incursioni canzonatorie un tono di benevolenza. Dopodiché si sa, l'ironia si nutre anche degli stereotipi che vengono affibbiati ad un popolo o ad un gruppo e Williams non si sottrae a questa legge universale presentandoci amichevolmente i tratti salienti della Irishness. Ecco quindi fare bella mostra di sé l'eccesso di bigottismo cattolico che a tratti sfiora il fondamentalismol'unicità e la stravaganza dei matti di paese, la florida tradizione mitologica in cui convivono elfi, gnomi, leprecauni, salmoni parlanti, eroi leggendari in grado di far impallidire le grandi produzioni di Hollywood, la magia intrinseca che sembra risiedere nella terra e nei monumenti di tutta Irlanda. 

"Purtroppo la scena d'amore è stata tagliata dalla censura. In quegli anni non c'erano scene d'amore in Irlanda, per la maggior parte delle persone baciarsi equivaleva a fare sesso. Le lingue degli uomini equivalevano ai loro peni e potevano uscire dalla bocca solo per l'eucarestia. Il che spiega la popolarità del Sacramento".

In conclusione il libro non è che un omaggio metaletterario alla grande narrativa e Williams esplicita la sua 'magnifica ossessione' infarcendo il testo di titoli, riferimenti, aneddoti tratti dai romanzi della tradizione letteraria soprattutto anglosassone. Spesse volte l'autore gioca con la letteratura riproducendo nel racconto di Ruth personaggi, scene e comportamenti narrati in altri libri in un divertente gioco di rimandi che solo i lettori più esperti possono capireVediamo il nonno Abraham, impavido combattente nell'esercito di Sua Maestà, che pare il protagonista del libro di Remarque Niente di nuovo sul fronte occidentale. Oppure assistiamo al vagare per le strade di Faha di strani personaggi che sembrano usciti da Oliver Twist o Grandi speranze di Dickens. Williams ha costruito una romanzo che si costituisce come una vera e propria dichiarazione d'amore verso la letteratura e verso ciò che essa da secoli rappresenta.

Storia della pioggia
Niall Williams
BEAT, pp.367, 2017
9,00