domenica 8 ottobre 2017

Nel segno della pecora

La copertina del romanzo.
Il brulicante mondo dei lettori spesso non conosce le mezze misure nell'esprimere un giudizio su una delle personalità letterarie che, nel bene o nel male, da qualunque parte dello schieramento lo si giudichi, ha saputo incidere sulla letteratura contemporanea. Haruki Murakami, o lo si ama o lo si odia. C'è chi lo osanna come maestro della letteratura, come un uomo in grado di creare universi onirici tali da produrre una sensazione di interdizione nel lettore che, sperso nelle pagine dei suoi libri, è privo di una guida e di un appiglio. Parte della comunità letteraria non nasconde la propria perplessità rispetto alla scarsa propensione dell'Accademia di Svezia di assegnare il Nobel a Murakami che sembra avere ereditato, al pari di altri illustri autori ancora a bocca asciutta come Philip Roth, Don DeLillo o Margaret Atwood, la stessa maledizione del DiCaprio pre-Revenant. Dall'altro lato della barricata si trovano i "detrattori" dell'autore di Kyoto: Roberto Cotroneo, pur riconoscendone il talento, ha scritto che "non mi piace Haruki Murakami, e non mi piace perchè mi annoia" criticandone l'eccessivo ermetismo che lo induce alla noia, quella stessa noia che il personaggio di Nel segno della pecora cerca di sfuggire. Ancora, in un recente articolo pubblicato sul suo sito, Paolo Zardi definisce "Norwegian Wood [...] un romanzo inutile" che potrebbe ridursi a pochissime pagine se l'autore evitasse di cedere ad una vacua e noiosa prolissità. Murakami ondeggia dunque tra due estremi che appaiono inconciliabili: la deificazione dell'estro narrativo da un lato e la tediosità oscura, contorta di una scrittura allusiva e ipermetaforica dall'altro.


Nel segno della pecora, uscito nel lontano 1982, racchiude e al contempo anticipa temi, stili e tratti distintivi della scrittura di Murakami. Gli stessi che i lettori più affezionati hanno trovato nelle pubblicazioni seguenti come l'apprezzatissimo Kafka sulla spiaggia (2002), l'altrettanto corposo La fine del mondo e il paese delle meraviglie (1985) o anche Dance Dance Dance (1988), ideale seguito de Nel segno della pecora. Anche in questo romanzo (quasi d'esordio) il non-detto dell'esistenza e sull'esistenza del protagonista, che si trasforma inevitabilmente in un non-detto narrativo, innesca un processo conflittuale nel lettore che storce il naso all'idea di sapere poco o nulla dell'eroe (basti pensare che tutti i personaggi rimangono anonimi o nascosti dietro un appellativo) ma al contempo ne è inconsciamente ipnotizzato e incuriosito. Il protagonista, un giovane pubblicitario quasi giunto alla soglia dei trent'anni, rientra a pieno titolo nella categoria dei personaggi picareschi di Murakami: donne, bambini, vecchi, giovani uomini che, per motivi che spesso esulano dalla logica e dalla razionalità, intraprendono un percorso di viaggio volto alla ricerca del sé. Il vecchio Nakata e il giovane Tamura di Kafka sulla spiaggia o il suddetto pubblicitario sono emblemi di un'umanità sperduta, a volte fallita che cerca se stessa. Il pretesto del viaggio in questo caso, pur strano che sia, è rappresentato da una rarissima specie di pecora con una macchia a forma di stella sulla schiena che il giovane è incaricato di cercare dopo che la sua agenzia pubblicitaria ha pubblicato, all'interno di una banalissima newsletter, una fotografia in cui la pecora appariva all'interno di un più ampio gregge. Contattato da un misterioso e minaccioso uomo vestito di nero, che si presenta come il braccio destro di un potentissimo uomo politico di destra, detto il Maestro, il giovane si trova suo malgrado a dover fare i conti con un ricatto: il ritrovamento della pecora, che per qualche strana ragione potrebbe rappresentare l'ultima speranza di vita per il boss morente, in cambio della sopravvivenza dell'agenzia pubblicitaria di cui è consocio. Il giovane, con un recentissimo divorzio alle spalle e intrappolato in un'esistenza abitudinaria cui non riesce ad attribuire un significato, coglie l'occasione di buttare la propria vita alle spalle e imbarcarsi in un viaggio senza meta precisa nè serie possibilità di riuscita. La ricerca nel segno della pecora, metafora del viaggio alla ricerca del sé, lo conduce in un'ampia radura sperduta e fredda nella regione dello Hokkaido dove, all'interno di una accogliente baita di montagna, alcuni nodi verranno al pettine. Alcuni, non tutti. Sia mai che il buon Haruki ci sveli troppo delle sue storie.

Murakami Haruki
Per gli ammiratori di Murakami Nel segno della pecora è una tappa irrinunciabile, nonché l'ennesima occasione per toccare con mano il realismo magico del giapponese che sembra divertirsi come un bambino nell'inserire frammenti di pura irrealtà nelle proprie strutture e logiche narrative: ragazze con orecchie magiche in grado di funzionare da recettori solo se esposte all'interlocutore, autisti che telefonano a Dio, improbabili discussioni senza senso (almeno apparente) sulla natura dei nomi delle cose e altre bizzarrie che rendono unico lo stile di Murakami. Una scrittura pacata e accurata, quasi da ritmo sincopato, che ubriaca e ipnotizza il lettore proprio nei momenti di stanca dell'azione romanzesca dove i ritmi rallentano, i dialoghi si sospendono e il silenzio delle cose prende il sopravvento su tutto, anche sull'autore stesso, come se il romanzo diventasse la caverna adatta in cui fare riverberare l'eco del silenzio. L'intrinseca polisemia delle figure murakamiane lascia aperti ampi spiragli interpretativi rispetto al senso e alla funzione della pecora, alle scelte e al futuro del giovane pubblicitario, al senso più profondo di un viaggio fisico e spirituale da Tokyo allo Hokkaido, dall'urbanizzazione alla natura incontaminata. Leggere Murakami significa mettere in gioco se stessi e parte della propria capacità di lettura e interpretazione del mondo. Per i critici e i detrattori è indubbio che convenga starne alla larga, onde evitare di imbattersi in noiosi dialoghi, finali aperti e significati impalpabili.

Murakami Haruki

Nel segno della pecora
Einaudi, pp. 293, 2010
19,50

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